INDIA – 1800
Misure: H 61 x L 51
L’arte indiana si è declinata, attraverso i secoli, in un’eterogeneità originale e suggestiva di opere e manufatti artigianali.
Le architetture spettacolari e le sculture affascinanti, ad esempio, incantano l’osservatore occidentale, suscitando emozioni forti e svelando un mondo complesso, colorato, ipnotico e magnetico proprio come un autentico mandala.
I temi iconografici dominanti, che hanno ispirato nel tempo abilissimi artisti, sono, in gran parte, riconducibili ai sentieri spirituali che, proprio in questa mistica ed ancestrale terra, si sono originati, come: l’Induismo, il Buddhismo, il Jainismo ed il Sikhismo.
È proprio dal rapporto intimo, emozionale, spirituale del devoto con le divinità (il pantheon induista ne conta addirittura trentatré milioni!) che nasce l’esigenza, e l’ispirazione, di esprimere il sentimento religioso personale e collettivo attraverso l’arte.
La danza, la musica, le arti figurative e quelle plastiche sono, di fatto, un vivace e vitale mezzo a disposizione dell’Uomo per indirizzare l’energia della preghiera in un grandioso vortice luminoso, creativo, di sacralità universale.
Ne consegue che la maggior parte delle opere artistiche, soprattutto quelle monumentali architettoniche e scultoree, si possa definire ‘arte sacra’, in quanto strumento figurativo atto a veicolare valori metafisici ed in quanto emblema simbolico della fede stessa.
Questa meravigliosa scultura bronzea antica ne è un perfetto esempio.
Tramite una lavorazione accurata e sapiente, arricchita da finissimi dettagli incisi, il materiale bronzeo, brunito dall’antichità, è stato scelto per raffigurare Siva Natạrāja, Siva Re della danza.
Siva è una divinità maschile del pantheon induista.
Dio poliedrico, Deva della Trimurti insieme a Brahma e Visnù, amato e temuto allo stesso tempo, ha origini molto antiche, pre-vediche (3000 a.C. circa). Assumendo nel tempo le caratteristiche che lo contraddistinguono tutt’ora (grazie, anche, all’assimilazione nella sua figura di caratteri relativi ad altre divinità secondarie), è portatore di una simbologia cosmologica complessa. Incarna, infatti, funzioni cosmiche portentose, antitetiche e bipolari, ma dal prezioso e mistico potere riequilibrante: è il Signore che distrugge, ma per poter propiziare una nuova rigenerante creazione. Ecco il perché dei numerosissimi e curiosi epiteti che lo accompagnano, determinandone, di volta in volta, le fattezze e le proprietà esposte nelle sue raffigurazioni. Signore degli elementi, il Terribile, il Coronato di Luna, Portatore del Gange, il Grande Tempo, il Grande Yogi, il Vincitore sulla morte, Dispensatore di felicità, Signore del desiderio: sono solo alcuni dei suoi soprannomi, che lo delineano come divinità che incarna completamente i principi metafisici dell’Induismo e dei suoi testi religiosi e filosofici fondamentali (come i Purāṇa).
Qui, è presentato come il Re della danza, secondo il racconto di un antico mito. I saggi Ṛṣi della foresta himalayana Tāraka cercarono di uccidere Siva, innalzando contro di lui i loro canti magici. La divinità, però, si mise a danzare, tramutando misticamente le maledizioni in potente energia creativa. Allora i Ṛṣi diedero vita al nano Apasmāra per sconfiggere il Deva una volta per tutte.
Ma Siva lo schiacciò a terra sotto al suo piede destro, simboleggiando, così, la vittoria sull’ignoranza e preannunciando, con la gamba sinistra alzata a mezz’aria, l’emancipazione dagli attaccamenti dell’esistenza. Secondo la più autentica e fedele tradizione iconografia, il dio è, poi, accompagnato dal serpente (cobra): suo animale totemico; simbolo della kundalini, l’energia cosmica vitale, presente in latenza nell’individuo, che giace arrotolata alla base della colonna vertebrale e che, con pratiche yoga assidue, può essere risvegliata e riattivata, divenendo fonte inesauribile di salute, felicità, vigore, benessere e ascesi.
Siva, inoltre, possiede quattro braccia, reggendo, in ciascuna mano, alcuni dei suoi attributi personali o eseguendo mudra. La mano sinistra, rivolta sul lato destro del corpo, configura il gesto dell’elefante, ricordando la proboscide dell’animale, simbolo di forza.
La mano destra è, invece, sollevata in abhayamudra, la posizione che incoraggia il devoto a non provar paura.
Nella seconda mano destra, poi, afferra la clessidra-tamburo, lo strumento sonoro ove si uniscono il maschile-linga e il femminile-yoni, generando il suono creativo primordiale. Infine, la seconda mano sinistra custodisce il fuoco che distrugge ogni cosa.
Completa la scena il fior di loto che, alla base, accoglie Siva tra i suoi petali e da cui si origina il fulmine infuocato semicircolare (prabhāmaṇḍala) che incornicia la figura del dio e rappresenta la sacra sillaba dell’Oṃ.
Letteralmente Siva (o ‘Shiva’) significa ‘favorevole’, ‘propizio’, ‘beneaugurante’. Questa antica scultura, dunque, si impreziosisce ulteriormente di un’aura benefica unica ed affascinante, come solo la più autentica arte indiana può emanare.
Archeologa Dott.ssa Francesca Morello
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