Nessun materiale è, probabilmente, in grado di suscitare così tante suggestioni d’Estremo Oriente quanto la Giada.
Da oltre 10.000 anni, questa meravigliosa pietra impreziosisce il patrimonio culturale cinese, e mondiale, attraverso lavorazioni audaci ed instancabili, evocazioni leggendarie e rituali, espressioni artistiche tradizionali e moderne, impieghi esclusivi tra valore estetico e credenze spirituali, tutto nello scenario unico ed affascinante di una delle civiltà più antiche della Terra.
Il carattere cinese che la indica è Yu, curiosamente lo stesso che si utilizza per esprimere parole come ‘gemma preziosa’ e ‘tesoro’.
Avvolta da un’aura di mistero ancestrale, la Giada è, sin dall’antichità, considerata, secondo la sapienza popolare tradizionale, una pietra potente dalle molteplici proprietà curative: efficace amuleto in grado di scongiurare il male; portafortuna per eccellenza; ingrediente principale per l’Elisir Taoista dell’Immortalità; ed elemento medicamentoso per i reni e le patologie a questi connesse.
Il termine ‘giada’, infatti, deriverebbe proprio dall’espressione spagnola ‘piedra de la ijada’, cioè ‘pietra del fianco’/ ‘pietra delle viscere’/ ‘pietra delle coliche’, dove ijada si contrasse presto in jiada. Ne consegue che, possederla e/o indossarla in straordinari manufatti non era semplicemente per vezzo o mera sensibilità estetica, ma soprattutto per un profondo ed autentico atto di fede, in grado di proteggere il benessere e la salute del suo possessore, guidandolo nella vita reale e nell’aldilà, trascendendo il tempo, e le sue regole, e lo spazio, e i suoi limiti.
Era amata tanto dall’imperatore quanto custodita gelosamente dall’umile cinese
Come testimoniano numerosi ritrovamenti archeologici, la predilezione da parte dell’Uomo per questo materiale litico, in queste regioni orientali, risale al Neolitico (9.000 a.C. circa), momento in cui si attestano attività estrattive in affioramenti rocciosi. Tuttavia, l’esiguità della sua presenza ha spinto, molto presto, gli antichi cinesi ad individuare altre fonti di approvvigionamento, conducendoli sino nell’Asia Centrale, precisamente nella catena montuosa del K’unlun, nelle terre del Khotan e dello Yarkand.
Proprio qui, nei ricchi depositi alluvionali moltissimi ciottoli bianchi di piccole e medie dimensioni custodivano il pregiato tesoro.
La coltivazione in cava è, invece, accertata e documentata solo successivamente, nel XII secolo: è, infatti, noto che alcuni imperatori delle dinastie Yuan (1260-1368), Ming (1368-1644) e Ching (1644-1912) ne commissionarono appositamente l’estrazione in grandiosi blocchi. A partire dal XVIII secolo, poi, si inserirono fondamentali importazioni di giadeite dalla Birmania (pregiatissima quella ad intense venature bianche e verdi) e dalla Siberia (con le caratteristiche macchie verde scuro, detta ‘giada spinacio’)
In Occidente, con il termine ‘Giada’ ci si riferisce a due litotipi differenti: la Nefrite e la Giadeite. Sono chimicamente simili, ma manifestano proprietà diverse, e molto spesso, a meno che non si svolgano specifiche analisi di laboratorio sul campione, è davvero difficile poterle distinguere l’una dall’altra.
La nefrite ha una struttura densa e fibrosa e si presenta in una varietà di colori davvero eterogenea: dal nero opaco, passando dai verdi più intensi o più sfumati, sino al bianco candido. La sua superficie, anche se sottoposta a lucidatura, si caratterizza sempre per una resa cerosa.
Invece, la giadeite ha una gamma di colori più luminosi e, se lucidata, riluce a tal punto che quella verde è considerata una gemma tra le più preziose e care, ancor più dell’oro e dell’argento.
Nello specifico: la nefrite è un anfibolo complesso e fibroso di calcio, magnesio e silicato; la giadeite, invece, è un pirosseno composto di sodio, allumino e silicato. La presenza, in tracce variabili, di cromo determina nella giadeite le rare tonalità del rosso e del verde smeraldo, mentre il manganese è il responsabile delle colorazioni lilla. Nella scala di Mohs, che misura in gradi la durezza dei minerali da 0 a 10 (ove il talco è a 0 e il diamante a 10), la nefrite è intorno al grado 6,5 e la giadeite poco superiore a 7.
L’arte di lavorare la giada era, anche per queste ragioni chimico-mineralogiche, all’epoca e talvolta ancora oggi, un segreto custodito da poche famiglie che se lo trasmettevano, di generazione in generazione, da padre in figlio. La tecnica eseguita nella Preistoria è, sicuramente, la più rudimentale, lunga e faticosa, ma assolutamente efficace nella sua semplicità esecutiva.
Il taglio funzionale e l’incisione decorativa venivano eseguiti manualmente, applicando sulla
superficie da lavorare un particolare unguento grasso: veniva impiegato il grasso fuso di montone o di maiale, quindi un prodotto simile allo strutto (anche se alcune leggende popolari raccontano che solo il grasso di rospo, ottenuto in precisi momenti lunari, secondo particolari procedure, era l’unico vero grasso efficace).
A questo unguento si incorporava una fine polvere abrasiva, ricavata macinando granati, e, frizionandovi sopra una stecca affilata di bambù od osso, ecco che si realizzava l’incisione desiderata. L’impiego di un archetto in legno poteva agevolare molto: tramite una cordicella si legava e si muoveva ritmicamente con la mano la stecca (in legno con punta di corindone e poi in metallo), favorendo soprattutto la creazione precisa e veloce di fori circolari.
Ovviamente, con l’evolversi della tecnologia è stato possibile inventare ed impiegare degli strumenti di lavoro specifici più comodi, come le levigatrici e le trivelle rotanti a pedale, ma per la durezza intrinseca della pietra il lavoro resta, comunque, lento e gravoso.
Tutti aspetti che evidenziano e consacrano ulteriormente l’eccezionale maestria degli artigiani e l’estro creativo degli artisti cinesi, che tra tradizione ed innovazione, sono riusciti a conservare e a tramandare la storia di un popolo, dei suoi sentimenti e delle sue eterne e molteplici manifestazioni.
Dalle giade rituali, deposte in sepolture, come i misteriosi dischi bi con foro centrale, e le armi simbolo di potere come pugnali, coltelli, asce, scuri e scettri; ai preziosissimi ornamenti personali, per abiti (come fibbie e placchette) e per la persona (come i pettini, gli accessori decorativi per capelli e i meravigliosi gioielli, quali bracciali rigidi e pendenti).
Dalle maestose sculture zoomorfe ed antropomorfe a tutto tondo, alle eleganti coppette a pareti sottili, associate ad importanti vasi, sino ai preziosi sigilli individuali.
La Giada: eccezionale gemma preziosa creata dalle forze della Natura ed immortale manufatto modellato dalla visionaria creatività dell’Uomo.
Archeologa Dott.ssa Francesca Morello
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